Per Frizzarin il dialogo, ma soprattutto l’ascolto è lo strumento migliore per avvertire i movimenti dell’animo e per armonizzarsi con chi ci sta vicino. Quando si ascolta con grande silenzio interiore, per riuscire a mettersi il più possibile nei panni del partner, l’altro avverte facilmente l’amore che si ha per lui.
Questo significa che il dialogo non dovrebbe consistere in una lotta di parole e argomentazioni per sopraffare i pensieri e le idee altrui, ma un mezzo per capire e dare all’altro ciò che chiede, ciò di cui ha bisogno, ciò che lo può migliorare o soddisfare. Per lo stesso autore bisogna dare al partner una presenza emotiva che è “la capacità di sentirsi a proprio agio nei rapporti con il proprio partner ed assieme il desiderio di entrare nel mondo personale del partner come se fosse il proprio”.
Per tale motivo si dovrebbe riflettere più sui bisogni che l’altra persona esprime, non solo con le parole, ma anche con i silenzi, che sulla risposta da dare per contrastarla o sopraffarla.
Ascoltare l’altro significa inserirsi nella sua stessa lunghezza d’onda, significa mettere il proprio cuore accanto al suo. Ascoltare l’altro significa mettersi in una situazione nella quale la nostra disponibilità, la nostra attenzione, l’apertura, la sensibilità e la vicinanza, sono presenti al massimo grado. Solo così l’ascolto diventa dono, in quanto sono condivisi pensieri e idee; gioie e sofferenze; umiliazioni ed esaltazioni; momenti di angoscia e attimi di felicità.
Questi momenti di ascolto sono preziosi poiché permettono alla persona che amiamo di lasciarsi andare e di confidarsi esprimendo i propri sentimenti e le proprie opinioni. In definitiva, l’ascolto permette all’altro di essere se stesso e allora la con-divisione sfocia nell’intimità. Quando riusciamo a creare in noi questo stato d’animo, non sono necessarie le parole, parlano i nostri occhi, parlano le nostre mani strette alle sue, parlano i no-stri corpi abbracciati.
E quando le parole sgorgano per incoraggiare, stimolare e condividere, non sono parole di convenienza, non sono parole d’occasione, sono parole vere, perché nascono dalla profondità del nostro essere e hanno la capacità di dare gioia e voglia di vivere.
E’ solo allora che nasce l’aiuto. Un aiuto per capire se stessi e gli altri. Un aiuto ad accettare le tristezze e le delusioni delle quali la vita è, purtroppo, prodiga; un aiuto per gustare i momenti lieti e quelli, più rari, di felicità.
Valorizzare i doni dell’altro
Poiché ognuno di noi ha bisogno che qualcuno valorizzi le qualità e le capacità che possediamo, mettere in risalto quello che l’altro ci offre è fondamentale.
Se abbiamo il potere di sminuire, con le nostre parole e comportamenti, anche il dono o i doni più grandi e più belli, allo stesso modo abbiamo la possibilità di mettere in buona luce ed esaltare anche le piccole offerte, le minute manifestazioni d’amore. Ogni dono dell’altro che noi valorizziamo, gratifica e stimola il nostro partner a dare di più e meglio. Essere importante per qualcuno fa sentire bene, dà sicurezza, forza e coraggio; fa affrontare meglio e con più grinta, la vita; stimola comportamenti generosi, corretti, responsabili e attenti.
Al contrario, se i doni che l’altro ci fa, anche se piccoli, non sono ben accolti, egli si sentirà frustrato e impotente e quindi si chiuderà e difenderà ancora di più, mentre nel contempo aumenteranno in lui risentimento e acredine. E’ noto, infatti, che la disistima e la scarsa fiducia da parte delle persone più vicine e care portano alla chiusura, alla tristezza, all’abbandono, allo sconforto, alla rinuncia, ma anche a maggiore reattività ed aggressività.
Il silenzio interiore
Non è facile l’ascolto. Per ascoltare bisogna riuscire a creare il silenzio interiore. Ma per creare il silenzio interiore è necessario non solo fermare, per qualche momento, le parole ma soprattutto bisogna riuscire a limitare il turbinio di pensieri che spesso frullano nella nostra mente e disturbano ed impediscono la concentrazione. Sono pensieri e preoccupazioni legate alle cose da fare e alla convulsa vita alla quale ci costringe la società dei consumi. Sono soprattutto ansie, paure e angosce profonde, consequenziali ad un modo non fisiologico con il quale abbiamo trascorso la nostra infanzia.
Quando la nostra fanciullezza non è stata ben vissuta, a causa di un’educazione poco rispondente ai bisogni umani, a motivo d’un ambiente familiare freddo e disarmonico o per presenze genitoriali scarse, saltuarie e insoddisfacenti, possono nascere numerosi e invalidanti conflitti interiori non risolti. Queste cicatrici del cuore turberanno per anni, più o meno intensamente, il nostro animo colmandolo di tristezza, ansia e inquietudine. Di queste emozioni negative spesso abbiamo difficoltà a capire le vere cause, mentre, nello stesso tempo, abbiamo difficoltà a trovare i rimedi più opportuni.
Non solo quindi ci è difficile chiudere i telefonini e i vari strumenti dei quali amiamo circondarci, che disturbano il nostro silenzio interiore, è anche difficile scacciare le ansie e le tristezze che ci assalgono e non ci lasciano liberi di aprirci all’altro.
La disponibilità al dono
Ma anche la disponibilità al dono non è facile possederla. Per poterne disporre è necessario che qualcuno, le persone a noi più vicine e quindi soprattutto i nostri genitori e familiari, ci abbiano dato molto nel momento giusto e nel modo giusto e, con-seguentemente abbiano con generosità, nella loro vita familiare, messo in primo piano il dono, come valore primario dei loro comportamenti.
Se i nostri genitori e gli altri familiari con i quali ci siamo rapportati da piccoli, hanno seminato la nostra esistenza soltanto di doni materiali: vestiti, giocattoli, telefonini, moto rombanti e auto di lusso, i frutti prodotti da questi semi non potranno che essere poveri e scarsi. Tanto poveri e scarsi che difficilmente avremo voglia di condividere con gli altri quel poco che abbiamo. Se, invece, le persone a noi più vicine hanno seminato nel nostro animo abbondanti e ricchi doni spirituali e affettivo-relazionali, gli alberi prodotti da questi semi saranno tanti, ma soprattutto questi alberi saranno così grandi e ricchi di frutti che non sarà affatto difficile offrirne agli altri.
La concorrenza tra i due generi
Abbiamo detto sopra quanto sia importante valorizzare l’altro, ma, per desiderare di valorizzare l’altro, non dobbiamo percepirlo come concorrente, non dobbiamo avvertirlo come un ostacolo alla nostra realizzazione. Ciò oggi è particolarmente difficile in quanto il falso concetto di uguaglianza al quale sono state educate le ultime generazioni, vorrebbe che entrambi, uomini e donne, ci dedicassimo allo stesso modo, con lo stesso impegno e con la stessa responsabilità e dedizione sia al mondo economico e dei servizi che al mondo affettivo – relazionale.
Sono questi due mondi molto diversi: vivono di apporti diversi; hanno finalità diverse; caratteristiche strutturali diverse; tempi e modalità di crescita diversi; gratificazioni, valori e luoghi diversi.
Sono diversi i luoghi dove questi due mondi svolgono la loro attività.
I luoghi del mondo affettivo-relazionale sono le braccia della madre, del padre e quelle degli altri familiari e poi la culla, la stanza, la casa. I luoghi del mondo affettivo-relazionale sono i parchi odorosi d’erba, le colline o le rive del mare dalle quali assistere abbracciati al tramonto del sole e al sorgere delle prime stelle. Al contrario, i luoghi del mondo economico sono le strade affollate e le fabbriche fumose; gli uffici e i porti; le miniere e i campi coltivati.
Nei due mondi, quello affettivo-relazionale e quello economico e dei servizi, è diverso il modo con il quale è vissuto e gestito il tempo. Se il tempo nel mondo affettivo non si vende ma si offre, ed è apprezzato soprattutto per la sua lentezza e abbandono, al contrario, il tempo del mondo economico è contrattato, venduto o ceduto e si ha la netta sensazione che corra rapi-do e frenetico.
Ha un valore diverso lo spazio. Nel mondo economico lo spazio è un nemico da abbattere o una merce da vendere; nel mondo affettivo è un luogo da vivere, da godere e assaporare.
Sono diverse le gratificazioni. Nel mondo economico le gratificazioni si nutrono di potere e denaro. Nel mondo affettivo le gratificazioni sono fatte di sguardi, strette di mano, abbracci e parole appena sussurrate, atte a comunicare le emozioni e i respiri dell’anima.
Sono soprattutto diversi i valori. Nel mondo economico hanno valore la grinta e la determinazione, il dinamismo e la rapidità, l’intraprendenza e la forza, il potere e la gloria, la produzione e la ricchezza. Nel mondo affettivo-relazionale hanno valore i gesti e le carezze, la vicinanza e i doni, i sentimenti e le cure, la continuità e la fedeltà, la disponibilità ed il sacrificio.
Nel mondo economico sono importanti il cambiamento e l’innovazione, quanto nel mondo affettivo sono fondamentali la stabilità e la continuità.
Ed infine è totalmente diversa la “produzione”. Nel mondo economico si producono oggetti e manufatti, beni di consumo e cibo, macchine e attrezzi, servizi e organizzazioni. Mentre nel mondo affettivo- relazionale si producono sentimenti ed emozioni, amore e amicizia, accoglienza e dono, intimità e ascolto.
Pertanto, se da una parte è impossibile viverli entrambi con pienezza di capacità e disponibilità, nel provare a fare ciò vi è il rischio, di far emergere, all’interno del proprio animo prima e successivamente anche nella coppia, una concorrenza spietata, con conseguente invidia, gelosia, aggressività e distruttività nei confronti dell’altro: tutto l’opposto delle finalità e dei bisogni della persona, della coppia e della famiglia.
Se io, donna, ho bisogno di aiuto nello svolgere il mio compito e chiedo a mio marito di tenere il pupo mentre gli preparo la pappina, non si instaura alcuna concorrenza in quanto la responsabilità di cura e quella affettivo-relazionale nei confronti dell’allevamento del bambino resta mia. E così come sono mie la fatica e l’impegno, sono mie le espressioni di gratitudine, amore e legame speciale e profondo che instaurerò con il mio bambino; ma, se entrambi noi genitori ci sentiamo coinvolti al cinquanta per cento come vorrebbero le attuali tesi egualitarie, è facile che nasca concorrenza ed invidia, gelosia e acredine. Infatti se è lui che è più capace di preparare e dare la pappa al bambino, se è lui che è riuscito ad instaurare un legame più profondo e gioioso con nostro figlio, è soprattutto a lui che andranno i meriti se il bambino crescerà bene, come solo a lui andranno i bacetti e le altre manifestazione d’affetto.
Non vi è alcun dubbio allora che il proprio uomo o marito rischi di diventare un concorrente in questo fondamentale ruolo. E se vi è concorrenza è facile che nasca, istintivamente, il bisogno che io donna e moglie mi attrezzi e usi tutte le armi e le astuzie femminili per ostacolarlo e combatterlo in ogni modo, anche sminuendo la sua immagine agli occhi del figlio, pur di limitarne il potere.
Lo stesso avviene quando è la moglie che si impegna nel lavoro esterno alla famiglia.
Se lei, quando e se il suo ruolo prevalente nei confronti del mondo affettivo-relazionale, glielo permette, collabora e si attiva in qualche piccolo lavoro, lascia a me uomo la responsabilità sostanziale del mantenimento della famiglia, allora le dirò grazie e le sarò grato, ma se la sua carriera lavorativa è superiore o più luminosa della mia, se lei guadagna quanto e più di me, se lei è benvoluta dai colleghi ed è portata in palma di mano dal capo, allora con il nascere dell’invidia, della gelosia e della concorrenza, lei diventa una minaccia e una nemica da combattere e da abbattere con tutti i mezzi svalutandola o denigrandola.
Pensare che in queste situazioni il dialogo, anche se con l’aiuto d’un grande amore, diventi dono e spinga a valorizzare l’altro, significa vivere e far vivere le attuali e future generazioni nel mondo delle illusioni e dei sogni.
Le leggi naturali, fisiche, psicologiche o biologiche che siano, possono essere forzate per qualche tempo ma mai possono essere sovvertite.
Dr. Emidio Tribulato – Neuropsichiatra e psicologo. Direttore del Centro Studi Logos di Messina