Caro Tito, stavolta ti voglio presentare lo scrittore Giovanni Sabelli (nella foto), nato in Agnone del Molise, cittadina montana dove abito da tanto. Nonostante Egli viva da oltre sessant’anni a Roma, continua a sentire assai forti le radici del suo paese natìo, dove ha ancora casa nel centro storico più emblematico e un vecchio casale di famiglia su uno dei pendìì più panoramici che dominano la bellissima ed ampia valle del fiume Verrino, prospiciente l’antica Aquilonia sannita, odierna “Atene del Sannio”. Al vertice di tali radici culturali e territoriali c’è questo leggiadro “casale” che ricorre spesso nei suoi tre romanzi ed anche in qualche suo poetico verso.
Giovanni (che mi degna di una splendida amicizia ormai da oltre 20 anni) ha dato alle stampe due dei suoi tre romanzi, mentre il terzo ha voluto, su mio invito, regalarlo in esclusiva ed in anteprima assoluta come “e-book” ai nostri lettori, proprio qui alla fine di questa lettera. Nel settembre 1973 ha pubblicato “Le stagioni di Alvaro” e nel settembre 1995 “Il vizio della memoria”, entrambi editi da Todariana in Milano. Una curiosità: Giovanni aveva mandato all’editore Feltrinelli come proposta editoriale il manoscritto de “Il vizio della memoria” … un anno dopo, nel 1996, la stessa Feltrinelli ha stampato e diffuso con il medesimo titolo il libro di Gherardo Colombo (l’arcinoto magistrato di “Mani Pulite” al Tribunale milanese, dal 1992). Poi, tra Colombo e Sabelli c’è stato un gentilissimo scambio di copie dei rispettivi libri con reciproche lettere di stima.
Ognuno di questi tre romanzi di Giovanni Sabelli ha una parola chiave essenziale: “spopolamento” per il primo, “inurbazione” selvaggia di massa per il secondo e “impunità” per il terzo. Ovviamente Giovanni è contro queste tre categorie negative. Infatti “Le stagioni di Alvaro” rappresentano le varie tappe di crescita del protagonista (altro se stesso), il quale, nel maturare delle sue età esistenziali, si trova a vivere il cruento e distruttivo passaggio degli eserciti per le sue montagne molisane (l’atroce linea Gustav tra Gaeta ed Ortona, dal Tirreno all’Adriatico con l’Alto Molise in mezzo) durante la seconda guerra mondiale (specialmente negli anni 1943-45) e poi il difficile ma speranzoso periodo della “ricostruzione” che ha imposto l’emigrazione di massa verso le grandi città e i piccoli e grandi Stati democratici, vecchi e nuovi, vincitori e perdenti. Ed emigra pure l’Alvaro-Giovanni, che rivediamo inurbato in Roma nel secondo romanzo “Il vizio della memoria”.
C’è qualcosa di fortemente epico ed evocativo nei due primi romanzi di Giovanni Sabelli. Infatti, come Enea che, lasciando Troia in fiamme, salva e si porta dietro gli Dei assieme al vecchio padre Anchise e al figlioletto Ascanio (vedi la celebre scultura del Bernini), così il nostro scrittore si porta dietro la memoria dei sacri luoghi d’appartenenza degli antenati e suoi personali, pur essendo costretto (per gli studi universitari e poi per il suo progetto di vita) a vivere nella grande città metropolitana quale stava diventando Roma alla vigilia del “boom” socio-economico. In tal modo, i due primi romanzi di Giovanni documentano l’esodo forzato così come la scultura del Bernini racconta l’imposto esilio di Enea e, quindi, la memoria diventa “vizio” imperativo e necessario, indispensabile e lungimirante per non perdere i sacri valori delle proprie montagne e i profondi significati della propria vita, da tramandare poi alle future generazioni. Il tutto potrebbe essere racchiuso in questa frase “Ti sorprendevi nel constatare come, a distanza di anni ormai, continuavi ancora a fare ricorso ai luoghi in cui eri nato per spiegarti quelli in cui vivevi”. Quello che Giovanni Sabelli ci presenta è un epocale “dualismo” fatto dai cosiddetti “luoghi dell’anima” (cioè i luoghi ancestrali ed insostituibili come l’immortale “genius loci” – lo spirito dei luoghi) ma fatto pure dagli altri luoghi, quelli delle necessità esistenziali (emigrazione, studi universitari, realizzazione sociale, ecc.) che la propria terra d’origine non poteva offrire, anche perché già fin troppo impoverita dalle massicce migrazioni post-unitarie (quindi, nel 1950, da quasi 90 anni di spopolamento continuo).
Molti di noi, caro Tito, hanno vissuto e continuano a vivere un simile drammatico “dualismo” … un contrasto tale che a volte impedisce il pieno equilibrio esistenziale, pure emotivo e valoriale, senza il quale ci si sente “sradicati” e senza una vera identità. Per fortuna che c’è in noi, dentro la profondità dell’anima, un qualcosa o un qualcuno che ci aiuta a sopravvivere nel miglior modo possibile. Per Giovanni questo qualcosa è il suo paese natìo e, in particolare, l’antico casale stracolmo di ricordi e riferimenti personali e familiari … una masseria (comunemente detta) dove puntualmente va a “ritrovarsi” … perché sì, caro Tito, è vitale avere un tempo ed un posto dove “ritrovarsi” per rigenerarsi e ripartire. Un luogo catàrtico! Non a caso il grande Cesare Pavese ha scritto proprio in quel periodo (La luna e i falò, Einaudi editore, Torino 1950): “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
Lasciate le tanto sofferte tematiche dualistiche (etiche e emotive, valoriali ed esistenziali) del rapporto città-campagna, origini-passato e presente-futuro, Giovanni Sabelli (sempre sottilmente indignato per ogni genere di ingiustizia, nel pubblico come nel privato) prova un senso di rivolta davanti all’ingiustizia stessa e all’impunità imperante, specialmente per corrotti ed assassini. E si ribella persino leggendo uno dei suoi Autori preferiti come Cormac McCarty (scrittore nato negli U.S.A il 20 luglio 1933, tradotto e noto in tutto il mondo) il quale lascia che alcuni suoi personaggi “criminali” la passino liscia, senza essere toccati minimamente dalla giustizia sociale e legale.
Così, riscrive la storia dell’impunità di tali personaggi che devono pagare per i loro crimini. Il terzo romanzo di Giovanni Sabelli “Leggendo Cormac McCarty” parte da una importante considerazione della formidabile scrittrice italiana Dacia Maraini, la quale in un’intervista aveva così dichiarato: “In un’epoca in cui a dominare sopra ogni cosa è l’impunità, c’è bisogno di fare un po’ di giustizia, almeno sulla carta! E’ per questo che nei miei racconti i colpevoli non riescono mai a farla franca!”.
Quindi, adesso godiamoci l’unito romanzo “Leggendo Cormac McCarty” (appena appena 97 scorrevolissime pagine) sicuri che ne trarremo grande beneficio! E ringraziamo, tutti insieme, Giovanni Sabelli per questo suo gentile e generoso omaggio! Sarò assai lieto, poi, leggere le impressioni ed i commenti dei lettori nel tuo stesso sito o anche al mio indirizzo personale mimmolanciano@gmail.com, promettendo di parteciparli al nostro grande amico scrittore, cui auguriamo il miglior “buon compleanno” che ricorre proprio questo imminente 21 settembre! Buona Wita, Giovanni!
Saluti e baci, Domenico Lanciano
Leggi o scarica “Leggendo Cormac McCarty”, l terzo romanzo di Giovanni Sabelli
Pubblicato il: 21 settembre 2014 @ 22:06